«Se ho pianto alla sera è perché era passato via tutto, non c’era più niente da fare, bisogna proprio abbandonare questo paese cinico e baro. Tutta la cosiddetta alta cultura aveva finalmente trovato un morto che la sollevasse dalla sua bassezza, e io personalmente sentivo la mia miseria non diversa da quella di Italo. Di Italo però mi vengono in mente le smorfie da ragazzino con cui spesso mostrava di non essere per niente a suo agio nella vita, e anche di poter fare lo sciocco quando ne aveva voglia. Cose queste che sui giornali non si scrivono, né interessano ai professori universitari: perché il nostro lato nero, che a momenti diventa quello più radioso, è poco trattabile nei termini della famosa carota culturale». Scrive queste righe Gianni Celati in occasione della morte di Italo Calvino. E cercando qualcosa da cui partire per ricordare il primo, ci è parso che fossero, in qualche modo, la sintesi perfetta del suo sguardo: l’evidenza di una disappartenenza, la prova di quel movimento del pensiero, prima ancora di quello attraverso i luoghi, che salta dall’esterno al corpo fino all’intimo e la ricerca di un umano che supera le griglie formali attraverso cui ci illudiamo di capire e rivela l’inaspettato, il fallimento, la caduta, il buio, l’ambiguità della verità. Ci siamo chiesti quanto avesse senso restituire a chi ci segue un nostro personale omaggio. Noi che non abbiamo alcuna autorità al di fuori di quella che ci deriva dalla passione che nutriamo per la parola scritta. Abbiamo pensato, però, che non ci potessimo sottrarre perché di “un uomo che fuggiva, tutte le volte in cui le cose si stabilizzavano”, come ha detto Cavazzoni di lui in Salaborsa, lo scorso venerdì nell’omaggio che Bologna gli ha reso, di un uomo che scardinava la verità della realtà navigando in una sorta di “straniamento” (cit. Italo Calvino), una formale e sapiente regressione dove persino le date si annebbiano, generando una distorsione da “fluttuazione temporale”, un pianeta fuori asse come Ork non potesse non ricordarlo. Faceva notare Cavazzoni il paradosso dell’esistenza, laddove la morte di Celati si è andata preparando nella fine del linguaggio, proprio il suo. E lo ha ricordato in una delle sue ultime comparse in pubblico: un evento in cui Antonio Prete parlava, un po’ cattedraticamente, dell’opera dello scrittore. Stupendo il pubblico, Celati, muto, si alzò e incominciò a mimare le parole che avrebbero dovuto celebrarlo, dimostrando a tutti il suo rapporto ironico con la vita e superando, in estrema coerenza con il suo percorso, il limite che la malattia gli aveva imposto. Ci piace pensarlo, quasi in forma blasfema, sulle nostre teste, in compagnia di personalità “fuori asse”, come noi, persino al fianco di Kurt Cobain. Disgregato, “in utero”, ricongiunto all’essenza che in questo mondo si è persa, a mitigare l’urlo disperato della voce dei Nirvana, mentre lo porta sulla via alchemica dell’ironia.

21 gennaio 2022, Salaborsa, Bologna, Omaggio a Gianni Celati.

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